Vuoto, dio, nulla, sono nomi di cose,
messaggi chiari privi di rumore,
ma se il rumore aumenta e la parola
si sgretola, si disfa, si rabbuia, 
appare il nome dell’innominabile,
di ciò che è fuori del linguaggio,
non vuoto come estrema rarefazione
bensì futy gksatyrj rith islej gkbos
non dio come caos ordinato
ma iostpe net ooruti jamozp ner
non nulla come assenza di qualcosa
ma oefryth ki loppru tirp plutje lé
non morte come assenza di qualcuno
ma uero thopa jutfop sertyved.

Uno strato di creta biancastra,
una fascia di sabbia argillosa,
uno strato di polvere vulcanica,
un deposito di detriti marini,
una vena calcarea traforata
da infiltrazioni di alto tasso salino,
un sinclinale cretaceo rosso
su un letto di morene del precambriano,
un considerevole manto di lava
che preme sull’argilla resa schisto,
uno strato di puri silicati
sopra una vena di gneiss metamorfico,
una colata di granito magmatico,
un’irruzione di tardo devoniano,
altro granito ricco in feldispati,
ère intere che gravano sulle ultime
tracce di vita su questo pianeta.

Il creatore crea dei segnali
sul nulla che non muta per firmare
con la sua firma quella nullità, 

e questi segni che segnano il nulla
cantano il canto della propria morte
e il nulla vibra di mortalità.

Piante, animali e sassi di quel canto
colgono solo la nota istantanea
ma l’uomo che ha memoria coglie il canto.

È un segnale che interpreta i segnali,
e davanti all’enigma di una nota
che coglie le altre note separate,

giunge alla sola soluzione possibile,
insita nel sistema segnaletico:
il creatore che segna il nulla è lui.

Così per lui un coro di galassie,
di soli, di pianeti e di comete,
di terre e mari e nuvole e nazioni

e di atomi infiniti circolanti
nel turbine del nulla nominato
canta il canto pomposo del creato.

Lui non si accorge ch’è una sola nota,
la nota muta che emette l’entropia
quando ha raggiunto lo zero assoluto.

“Pensa, uomo civile, che sei l’ultimo
uomo rimasto sulla terra e pensa:
tutti i diamanti sono tornati sassi,
sei il re dell’America e della Russia,
con le sterline puoi pulirti il culo
ma perché dovresti ormai pulirtelo,
per uno scrupolo verso i vermi?
E come il fallo cerca la vulva  assente,
la tua lingua va in cerca di un orecchio,
metti la maschera d’oro  di Agamennone
e ti guardi allo specchio, ma non ti parla,
cerchi la Sfinge, ma non ti fa domande,
leggi i giornali vecchi per ritrovare
la voce immonda della razza scomparsa,
avara, ipocrita, assassina e ladra,
ma almeno ti parlava, non come adesso,
ti mentiva, ti odiava, ti dileggiava,
ma ti parlava e a volte ti ascoltava,
rimpiangi il giudice, lo sbirro, il boia,
che erano te specchiato con la maschera,
ma quelle labbra d’oro ti parlavano,
non come le ricchezze della terra
che senza le parole sono polvere,
ceneri, cenci, sassi, carte e metalli.
Puoi fare quel che vuoi, chi è solo è morto”.

Ma quell’uomo civile che era l’ultimo
uomo rimasto sulla terra si mise
sulla faccia la maschera di Agamennone
e si sdraiò nel sepolcro a Micene
sperando che Qualcuno lo vedesse.

Gemevano, piangevano, trascinavano
lunghe cordate di masserizie usate
per deserti di pali di cemento,
dovevano salire sopra un colle
e calare nel nulla dall’altra parte,
la passeggiata si chiamava vita
e molti si fermavano a raccogliere
biglietti usati di diecimila lire
per sventolarli tra i pali di cemento
pur gemendo, piangendo, trascinando
lunghe cordate di masserizie usate,
su per il colle curvo, e chi franava
dall’altra parte volontariamente
o involontariamente, sorprendeva,
perché a tutti piaceva trascinare
lunghe cordate di masserizie usate
su per il colle gemendo e piangendo
e sventolando i biglietti raccolti
che prima di franare regalavano,
contenti della bella passeggiata,
peccato che finisse così presto,
dover lasciare i pali di cemento
e la cordata di masserizie usate
ma altri sorgevano dal nulla impazienti
di salire sul colle trascinando
altre cordate di masserizie usate
che si impigliavano nei pali di cemento
e di raccogliere i biglietti buttati
da quelli che erano già sprofondati,
e che nulla diceva che non fossero
gli stessi che sorgevano da questa parte.

© 2023 J. Rodolfo Wilcock - Tutti i diritti sono riservati.

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