Eh no, voi paladini, che state a fare
e personaggi veloci della storia
che vi perdete la cima della scala
e non rendete onore a chi la onora?
Soltanto gli Hohenstaufen dovranno farlo?
Venite a Roma, cavalieri d’Artù,
prodi di Orlando, mussulmani rabbiosi,
voi tutti che viaggiate sempre a cavallo,
re, masnadieri, paggi, granmaestri,
se intasate la strada non fa niente,
mongoli di Samarcanda, vandali sozzi,
crociati del Baltico, mòravi, sciiti,
e voi conquistatori delle Indie,
predoni di Bahrein e di Macao,
a mezzanotte voglio vedervi tutti
fare le corse intorno al Colosseo,
fare un torneo, o quel che preferite,
per far vedere come era rozzo il mondo
finché non è calata questa luce
che più mi abbaglia quanto più mi rischiara,
questa improbabile mutazione umana,
questa fonte energetica inesauribile,
questa gnosi, o sophia, o trascendenza,
questa persona fragile e sicura
che abita purtroppo così lontano.

Vieni con me non dico, dico portami.
Davanti a un Santo o a una Madonna chi
direbbe, « vieni, andiamo in Tunisia »?
Ma se l’immagine se ne andasse in giro
chi non vorrebbe accompagnarla, chi?
A trenta metri vedo molto bene,
vorrei seguirti sempre a trenta metri,
e a volte, presso un fiume o una fontana,
avvicinarmi a tanto irraggiamento,
se dormi, se riposi, se sorridi,
per poi la sera chiudermi nel buio
e accertare che splendo anche da solo
e che al di sopra del registratore
col nastro inciso con la tua voce
si addensano apparenze luminose
che in altri tempi si chiamavano angeli,
forme sospese, spiriti apprendisti
che da te vogliono in quei rari paraggi
imparare purezza e tenerezza,
ritegno, verità e altre arti angeliche
mai viste insieme, né in quei luoghi né altrove,
o come si asservisce una nazione
abbassando le palpebre semplicemente.

Comunque sia, questo mondo è per te.
Mi sono domandato molte volte
a che serviva, e non serviva a niente,
ma adesso grazie a te ritorna utile. 
Fa il conto della merce abbandonata
da Dio e prendila, l’hanno fatta per te
millenni di uomini che non ti conoscevano
ma che cercavano di prefigurare
in templi e tombe di roccia e biblioteche
uno stupore come quello che effondi
quando sorridi e fai fermare il tempo
e tutti ammutoliscono rapiti
e ti alzi e dici, «io me ne vado a letto».
Dormi, al risveglio sarà lì il tuo retaggio:
una città che fu famosa assai,
un fiume sporco cantato dai poeti,
il cinema dove hanno ucciso Giulio Cesare;
e intorno valli, montagne, mari, oceani,
e capitali, e continenti e selve,
e piramidi, e versi, e adoratori
della tua forma esterna o quella interna
e in alto il cielo e il sole e le stelle e la luna
e sulla terra le bestie ubbidienti
a te che infine vieni a giustificare
la loro straordinaria varietà.
È tutto tuo e non finisce mai.

Quando tu, mia poesia, leggi poesia,
si oscura il cielo di una luce verde,
la gente sfugge la riva del mare
per un senso remoto di tempesta
o di contrasto tra gli elementi,
vampe si inalberano sui fili dei tram,
e un gran silenzio cala sulla città:
è la poesia che contempla se stessa.
Leggi parole di un tempo scomparso,
di un presente che crolla senza sosta
velocemente nell’informe passato,
leggi di re e corone, giardini e guerre,
tu che sei la corona di ogni impero
e il giardino del mondo conosciuto
e la guerra dei sensi della natura,
leggi, « chi crederà i miei versi in avvenire
se dico adesso tutto il tuo valore? »
e accade in quel momento che quei versi
come una freccia scagliata nei secoli
raggiungono chi un giorno li ha ispirati.
E allora il buio verde si fa totale,
la gente si rintana, sopraffatta,
e in un silenzio come di terremoto
si alza la luna sui Castelli Romani
e lentamente volge tutto all’azzurro,
mentre tu, mia poesia, leggi poesia.

© 2023 J. Rodolfo Wilcock - Tutti i diritti sono riservati.

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